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della rivoluzione di roma | 483 |
immensi, laddove stante la incompatibilità de’ loro principi, il bene noi vedemmo sorgere, e del male assaporammo gli amari frutti.
Ciò poi che è da stupire si è, che tutte queste disposizioni governative denotavano una tale fidanza da far giudicare ch’essi credessero dover durare eterna la loro vagheggiata repubblica, mentre per converso egli era appunto in quel momento che veniva da tutte le parti attaccata.
Difatti era ella assalita dai Napoletani in Palestrina e dagli Spagnuoli che possessori già di Terracina, Nettuno e Porto d’Anzio, sbarcavano pomposamente a Fiumicino; minacciata dai Francesi sotto le mura di Roma; attaccata dagli Austriaci in Bologna: e perfino in Ascoli doveva combattere le orde del prete Taliani, che eran tornate a nuovi assalti.
L’arrivo degli Spagnuoli era annunziato dal triumvirato ai Romani con un proclama che così diceva:
- «Romani!
» Anche la Spagna vi manda, in superbe parole, com’è il suo vezzo, una insolente disfida.
» Così il coro è completo.
» Austria, Francia e Spagna, ritentano la vecchia storia, rispondendo alla chiamata di un Papa.
» Se non che la storia non copia mai sè medesima, e contro l’antico costume sta la nuova coscienza de’ Popoli.
» Dietro le baionette del Generale Oudinot è la generosa Nazione Francese; dietro l’imperiale spada di Radetzky sono i prodi Ungaresi e la democrazia di Vienna; dietro l’altiero idalgo che minaccia Fiumicino è una gente che non ha più la forza che vinse i Mori, nè l’oro del nuovo mondo.
» Pertanto, sian due, sian tre, la differenza è poca, e Roma non si rimuove dal suo alto proposito.