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della rivoluzione di roma | 473 |
E il «non più papa, non più re» era il verso che servir doveva d’intercalare.1
Detto inno guerriero o canto di guerra venivasi cantando per Roma la sera del 13 maggio, quando s’intesero due scoppi tremendi di mina, i quali essendo stati presi per cannonate, si credette giunto il tante volte predetto e temuto attacco dei Francesi. Ne seguiron subito un allarme ed uno scompiglio immenso. I timorosi rientravano nelle case, gli animosi ne uscivano. Chi correva di qua, chi di là, e chi dava subito di piglio all’armi; nè mancaron di quelli che fedelmente stando ai precetti, ponevansi a riconoscere la esistenza, o a rinforzar la sostanza de’ sacchetti di terra: cosa per verità che allora prendevasi in sul serio, e che ora eccita le risa a memorarla. La città venne in un istante illuminata. E tale fu l’effetto sorprendente della paura (la quale traducevasi per ispirito d’unione), che la città, senza esagerazione, venne illuminata in minor tempo di quello che impiegano i sampietrini per illuminare la mole vaticana. Si rinvenne però subito dall’errore, e ristabilissi la calma, perchè si seppe ch’erano scoppi di mina per far saltare in aria gli archi del ponte Milvio.2
Ai componimenti in versi è da aggiungerne uno in prosa che il giorno 15 fu pubblicato per le stampe. È una lettera del deputato Cesare Agostini a suo padre a Foligno sulle cose di Roma, e precipuamente sull’arrivo del signor Lesseps, del quale arrivo, come di cosa essenzialissima, parleremo diffusamente dopo.
Detta lettera è un capo d’opera di arcadica semplicità, e crediamo quindi, stante la sua singolarità e rarità, di riportarla interamente. — Eccola:
- «Carissimo padre,
»Grande notizia. La Francia ha mandato un commissario straordinario, monsieur Lesseps per verificare le