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E il «non più papa, non più re» era il verso che servir doveva d’intercalare.1

Detto inno guerriero o canto di guerra venivasi cantando per Roma la sera del 13 maggio, quando s’intesero due scoppi tremendi di mina, i quali essendo stati presi per cannonate, si credette giunto il tante volte predetto e temuto attacco dei Francesi. Ne seguiron subito un allarme ed uno scompiglio immenso. I timorosi rientravano nelle case, gli animosi ne uscivano. Chi correva di qua, chi di là, e chi dava subito di piglio all’armi; nè mancaron di quelli che fedelmente stando ai precetti, ponevansi a riconoscere la esistenza, o a rinforzar la sostanza de’ sacchetti di terra: cosa per verità che allora prendevasi in sul serio, e che ora eccita le risa a memorarla. La città venne in un istante illuminata. E tale fu l’effetto sorprendente della paura (la quale traducevasi per ispirito d’unione), che la città, senza esagerazione, venne illuminata in minor tempo di quello che impiegano i sampietrini per illuminare la mole vaticana. Si rinvenne però subito dall’errore, e ristabilissi la calma, perchè si seppe ch’erano scoppi di mina per far saltare in aria gli archi del ponte Milvio.2

Ai componimenti in versi è da aggiungerne uno in prosa che il giorno 15 fu pubblicato per le stampe. È una lettera del deputato Cesare Agostini a suo padre a Foligno sulle cose di Roma, e precipuamente sull’arrivo del signor Lesseps, del quale arrivo, come di cosa essenzialissima, parleremo diffusamente dopo.

Detta lettera è un capo d’opera di arcadica semplicità, e crediamo quindi, stante la sua singolarità e rarità, di riportarla interamente. — Eccola:


«Carissimo padre,

»Grande notizia. La Francia ha mandato un commissario straordinario, monsieur Lesseps per verificare le

  1. Vedi il Sommario, n. 90.
  2. Vedi il Monitore del 14 ore parlasi della mina e del coro.