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facendo l’apologia dell’epoca repubblicana in Roma, e anteponendola a quella ch’esso chiamava tirannia clericale?

Ma ora veniamo a parlare di alcune scene comiche occorse sullo stradale di Albano, ove parve ai repubblicani di riconoscere (e ne segnalarono l’annunzio) alcuni scontri o particolari combattimenti coi Napoletani. Narreremo minutamente ciò che il governo rese di pubblica ragione.

Prima di tutto però diremo che fin dal giorno 2 il triumvirato dette un cenno della mossa dei Napoletani, mediante un proclama. Il giorno 3 poi ne emanava un altro del tenore seguente:


«Popoli della Repubblica,

» Le truppe napoletane hanno invaso il vostro terreno, e marciano su Roma.

» Cominci la guerra del popolo.

» Roma farà il suo dovere. Le provincie facciano il loro.

» Il momento è giunto per uno sforzo supremo. Per quanti credono nella dignità dell’anima loro immortale, nella inviolabilità dei loro diritti, nella santità dei giuramenti, nella giustizia della Repubblica, nella indipendenza dei popoli, nell’onore italiano, è debito in oggi l’agire. Per quanti hanno a core la propria libertà, le proprie case, la famiglia, la donna dell’amor suo, la » terra nativa, la vita, l’agire è necessità. Vita, libertà, averi, diritti, ogni cosa, cittadini, v’è minacciata; ogni cosa vi sarà tolta. Il re di Napoli innalza per noi la bandiera del dispotismo, della tirannide illimitata. I primi suoi passi son segnati di sangue. A caratteri di sangue sono scritte le liste di proscrizione. Voi avete per troppo lungo tempo parlato, mentre gli altri spiavano e registravano. Non v’illudete. Oggi, la scelta sia per voi tra il patibolo, la miseria, l’esiglio o il combattere e vincere. Popoli della Repubblica, ogni incertezza, ogni esitazione sarebbe viltà, e viltà senza frutto.