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al nemico un danno numericamente più considerevole,1 ci sembra un modello di amplificazione, per non dire una caricatura nei termini. Sta bene che nei bullettini non si soglia scrupoleggiare in fatto di verità, ma nè’ rapporti al proprio governo la verità deve guidar la penna dello scrittore.

I Francesi intanto, attendendo nuove istruzioni dal loro governo e più efficaci rinforzi, acquartieravansi parte a Palo, e parte a Palidoro. Noi colà li lasceremo per tornare a parlar di Roma.

Era la città eterna in uno stato che non potea dirsi nè vita nè morte. Vita sì e forse troppa, perchè esagerata, convulsa, e dominata dalla frenesia e dal delirio. Nè poteva essere altrimenti: imperocchè ignari i cittadini di cose guerresche, e della situazione vicendevole delle parti contendenti, attendevansi ad ogni momento di essere assaliti. Questo stato di trepidazione e di esaltazione febbrile durò per quindici giorni, ed in questi quindici giorni tutto ciò che divulgavasi per le pubbliche stampe, tendeva non solo a mantenerveli, ma ad aumentarne la intensità. I sospetti di reazioni interne, di tradimenti, di sorprese fecer sì che il governo rallentasse le redini, e che i circoli, i comitati, i fanatici, ed i disperati di tutti i paesi formassero altrettante succursali governative, o centri direttori, per mantenere in rispetto i clericali affinchè non solo non potessero far nulla, ma non fosse lor permesso neppure di fiatare. Per tale modo venivasi benanco a rinvigorire il partito della resistenza, ch’era quella che si voleva. La prima quindicina di maggio pertanto fu il tempo più fatale e pericoloso per Roma. Fu in quel periodo appunto che occorsero i più gravi sconcerti, de’ quali accenneremo soltanto quelli di cui ci sono restate le traccie. Altri moltiplici rimasti aconosciuti o taciuti, non figurando in queste carte, ricopriranno l’onta di chi perpetrolli, e risparmieranno a noi il dolore di raccontarli.


  1. Vedi Torre, vol. II, pag. 47.