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del 30 di aprile niun altro vantaggio, da una soddisfazione morale in fuori, portò ai repubblieaui.

Il Cernuschi poi, che capitanava la commissione delle barricate, dirigeva al popolo il primo di que’ proclami faceti e scherzevoli che tanto esilaravano Roma per la loro originalità. Esso così diceva:

«Ieri cominciò l’ingresso dei Francesi in Roma. Entrarono per Porta San Pancrazio in qualità di prigionieri. A noi, popolo di Roma, questo non fa gran meraviglia. Deve fare però un senso curioso a Parigi. Anche questo è buono.»1

Trattando noi nel capitolo presente delle cose accadute in Roma nella prima quindicina di maggio, non avremo a narrare altri combattimenti contro i Francesi perchè non ebber luogo in detto periodo di tempo; e la ragione è semplicissima. I Francesi dopo lo scacco del 30 aprile cambiarono consiglio, e chiaritisi che Roma voleva difendersi, pensaron subito ad un assedio regolare, per effettuare il quale necessariamente occorrevano altri uomini ed altre artiglierie. Fu dunque tempo di tregua, e tregua forzata. Intanto il generale Oudinot con suo dispaccio del 4 maggio da Palo informava il suo governo dell’accaduto.

Questo dispaccio però non ci presenta carattere veruno nè di esattezza storica, nè di eloquenza oratoria. Noi abbiamo raccontato se non elegantemente, veridicamente al certo, per quanto ci fu dato di raccogliere, le particolarità principali dei fatti occorsi, dalle quali apparisce che il generale Oudinot (indotto forse in equivoco da inesatti rapporti) commise per lo meno una imprudenza, e imprudenza tale, che potea riuscirgli in sommo grado funesta. Quindi il dire al suo governo che la giornata del 30 aprile fu una delle più brillanti alle quali le truppe francesi abbian preso parte dopo le loro grandi guerre, e che se avevano avuto delle perdite sensibili, avevano però cagionato

  1. Vedi il Monitore, pag. 403.