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436 | storia |
I Francesi, venuti in piccol numero per soggiogare i Romani, dicevasi, essere un insulto. Dire che i Romani non sarebbersi battuti, un’offesa. Voler ristabilire il governo clericale essi che n’erano stati i più accaniti nemici, una contradizione vergognosa. Conculcare la libertà i Francesi che ne erano stati i più caldi propugnatori, essere una violazione dei diritti più sacrosanti dei popoli. Venire in fine una repubblica a immergere un pugnale nel cuore della repubblica sorella, essere una violenza non solo, ma una atroce tirannia.
Arrogi che spargevasi ad arte essere essi infetti dall’asiatico morbo, e venircelo quindi ad inoculare col loro contatto. Tutto doversi temere per parte loro: profanazione di templi, rapine degli averi, violazione di domicili, attentati all’onor delle donne romane.
Tutte queste dicerie sparse ad arte, e magistralmente usufruttuate a vantaggio dei resistenti da uno stuolo attivissimo di persone che qui erano da tutte le parti confluite, potranno somministrare un’idea dello eccitamento delle menti in Roma, ed una spiegazione plausibile delle cose che vi si operarono allora ed in seguito.
S’immagini poi ognuno quale esser dovesse la effervescenza dopo respinto l’attacco dei Francesi di cui ora terremo proposito; quali le idee superbe dei Romani e di quelli che di Romani assumevano il nome; e quale infine lo sbigottimento e la prostrazione di animo negli aderenti tuttora al partito clericale.
Erasi in Roma in questa disposizione di animi quando la mattina del 30 aprile, fra le ore 10 alle 11 antimeridiane, venne attaccata la città dai Francesi in numero circa di seimila uomini con dodici cannoni da campo. Presentaronsi essi alla porta san Pancrazio ed alla cinta dei Vaticano. Furono ricevuti con iscariche di moschetto. Ebber luogo allora dei parziali combattimenti fra i Francesi e i legionari di Garibaldi che affrontavanli fuori la porta san Pancrazio, sostenuti dalla legione romana, dalla legione