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della rivoluzione di roma | 435 |
A questi può aggiungersi qualche centinaio, forse un migliaio di volontari.
Il generale Oudinot viveva fidato che in Roma non sarebbesi fatta resistenza. Tali erano le sue informazioni, tali senza dubbio le opinioni di quelli di parte clericale che lo contornavano e lo consigliavano al campo. Era fra questi il Mercier, il quale, ritornato testé da Roma, ov’era rimasto fino al 27 di aprile (prima che giungesse il Garibaldi) praticando con quelli del partito Mamiani, recato aveva nuove incoraggianti al francese generale.
Egli è vero che, come già dicemmo, si dovette soprattutto alla presenza del Garibaldi, e de’ suoi il rianimamento dello spirito repubblicano, e forse senza il suo aiuto il Mercier avrebbe finito per aver ragione, perchè il partito tenace nelle idee di resistenza era tenue. Scarsi eran pure i veri repubblicani romani; molti come sempre gl’indifferenti e gli egoisti; pochi e avviliti i clericali fidenti sul ritorno di un governo di preti. La stampa e i liberi parlari di tre anni, se pur non avevano resa Roma repubblicana interamente, avevano affievolito per lo meno il rispetto e la confidenza ne’ preti, contro i quali erasi votato il sacco delle accuse e delle calunnie. I loro aderenti guardavansi dal pronunziar motto in loro favore, cosicché tutte le voci che sentivansi erano contro de’ medesimi. Tutte queste circostanze, l’energia che vedevasi spiegala, soprattutto dopo Farrivo del Garibaldi, non potevano non guadagnare partigiani alla resistenza. Era una valanga di neve che rotolandosi si veniva accrescendo di mole.
Le parole di Roma, di repubblica, di Romani conquistatori del mondo, gli esempi degli Scipioni, dei Bruti, dei Camilli, de’ Catoni, l’eloquenza di Cicerone, il valore di Cesare e di Pompeo erano per le bocche di tutti, e ne incendevan le menti. E que’ monumenti che ad ogni piè sospinto rinvengonsi, e che in tempi calmi e tranquilli restan quasi inosservati, erano allora oracoli parlanti ed eccitanti a rinnovar le gesta memorande di valore c di gloria.