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della rivoluzione di roma | 427 |
al pericolo sotto le mura di Roma, a ciò moveaci desiderio di difendere dallo straniero una città italiana e non di farci giannizzeri di una fazione. I Mazziniani com’è giusto, ci gratificavano del titolo di corpo aristocratico, e tal epiteto in bocca di certi eroi da caffè era per lo meno un elogio al nostro carattere.
» Noi impiegammo parecchi giorni nel penoso tragitto. I vapori erano l’uno della forza di 80 cavalli, o aveva quattrocento uomini a bordo, l’altro della forza di 30 e ne portava duecento. Si progrediva pertanto colla più grande lentezza; il mare era grosso e ci costrinse a fermarci a Porto Venere nel golfo di Spezia e a Porto Longone nell’isola d’Elba. I soldati stivati e senza poter muoversi soffrivano assai. Quando Dio volle, il 26 aprile noi entrammo in porto a Civitavecchia.
» Quattordici fregate francesi stavano schierate davanti ad esso. Mentre noi facevamo ingresso da una delle imboccature, la prima fregata francese entrava dall’altra. Civitavecchia impaurita a tanto apparato di forze, ed ignara d’altronde dei disegni di quella spedizione, non ardiva nè poteva resistere. I Francesi cominciarono subito la lunga operazione dello sbarco. Un commissario romano si recò a bordo e ci dichiarò presi al servizio di quel governo. Mio fratello venne più volte spedito a terra a domandare al generale Oudinot il permesso di sbarcare. Fu accolto con molta alterigia ed intimatogli di significare a chi lo mandava che noi avessimo immediatamente a tornare addietro. Manara stesso non potè sul principio ottener nulla. Voi siete Lombardi, gli disse aspramente il Generale, che c’entrate dunque negli affari di Roma? — E voi, signor Generale, rispose senza sconcertersi Manara, siete di Parigi, di Lione o di Bordeaux?»
» I nostri soldati, all’udirsi respinti, proruppero in uno stato d’esasperazione indescrivibile. Agitavano furibondamente i fucili, minacciavano di gettarsi a nuoto; ad ogni patto su quei battelli, dove avevano tanto sofferto, non