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quello di dichiarare pubblicamente, come il popolo di Roma, e la grande maggioranza del partito liberale nazionale, condannino simigliante articolo, e de respingano la solidarietà.»1

La sera fuvvi luminaria con fuochi di bengala dei tre colori sulla piazza di san Pietro, e all’una di notte comparve rapidamente la solita illuminazione di fiaccole sulla basilica e sul colonnato.2

I canonici di san Pietro essendosi ricusati di prender parte alla cerimonia, vennero condannati dal triumvirato con un decreto a pagare scudi cento venti ciascuno. Il decreto diceva cosi:

«I Canonici del capitolo Vaticano, per pena del criminoso rifiuto alle sacre funzioni ordinate dalla Repubblica il giorno di Pasqua, sono multati personalmente della somma di scudi centoventi per ciascheduno.3»

Rincrebbe soprammodo Romani tale condanna con tutte le solennità di un decreto, e fu considerata come una violenza ed un abuso di potere; poichè alla fin fine, trattandosi di cerimonie ecclesiastiche, i canonici erano responsabili soltanto verso l’autorità ecclesiastica e non ad altri per il loro operato.

Insorse difatti coraggiosamente la Speranza dell’epoca censurando quell’atto, e si attirò gli sdegni e le carica ture del Don Pirlone il quale rappresento l’ufficio della Speransa dell’epoca siccome un nido di Gesuiti.4

Il Farini, raccontando il fatto dei canonici di san Pietro, premette queste parole:

«Eppure ecco il Mazzini a cui non basta l’unità d’Italia; idea contrastata, fine a parer mio non buono

  1. Vedi la Speranza dell’epoca del 10, n. 72.
  2. Vedi la Pallade del 9.
  3. Vedi il Monitore del 10 aprile, pag. 313. - Vedi il vol. IX, Documenti, n. 13 . 16.
  4. Vedi la vignetta nel Don Pirlone del 17 aprile n. 185.