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360 | storia |
che da lontane parti affluiscono in Roma, e la presenza de’ contadini accorsi dai circostanti paesi, i quali ottenuta la benedizione, riedono consolati ne’ loro meschini casolari?
Che se la mattina dell’8 di aprile 1849 tu portavi lo sguardo nel santuario, in luogo del papa pontificante nella sua maestà di gran sacerdote, da pressochè tutto il mondo riconosciuto, tu vedevi in vece un abate Spola e un frate Gavazzi, e invano cercavi il senato cardinalizio che ricoperto di porpora ti rammenta l’antico senato romano. Non vedevi le mitre episcopali, non i prelati, non i principi assistenti al soglio, nè i capi d’ordine, nè tutto quel corredo in fine che costituisce la corte pontificale e la ecclesiastica gerarchia. Tu vedevi in vece Mazzini, Armellini e Saffi colle sciarpe tricolori, ed i membri dell’assemblea assisi in alcune panche, e li vedevi con tali ceffi torvi, tali fisonomie indevote, che tutto all’infuori di un religioso raccoglimento ispiravano.
Bastava guardarli per persuadersi all’istante non essere a quelli largito il dono della fede, non conoscere le anime loro il balsamo della speranza, ed aver chiuso il cuore alla universale carità. Che se pure qualche carità sentivano, era ella arida, ostentatrice, parziale, non quella indistinta e universale di tipo cattolico. Osservandoli in somma anche con occhio fugace, nasceva in te la convinzione che quelle non erano anime di credenti, e di leggieri ti persuadevi che confessar non potevano Gesù Cristo coloro che ne vollero scacciato il vicario dall’augusto suo tempio.
La cerimonia di quel giorno non fu dunque una pompa religiosa, ma una sfacciata profanazione, una sacrilega ipocrisia, una rivoltante impostura; direna meglio una parodia invereconda cui dar si volle il nome di cerimonia religiosa.
E pure non tutti i Romani sepper comprendere siffatta abbominazione, e più d’uno sentivi ripeterti la parola d’ordine, scaltramente diffusa nelle masse, che se era par-