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della rivoluzione di roma 359

E quando fia, nè guari andrà, che il vero
Disveli i tradimenti e le impostare
Onde sedotto il successor di Piero
Venner le nostre e insiem le sue sciagure,
Sol colla penna rincacciarti io spero
Nella sentina delle tue lordure:
Sol colla penna?... Or va, saprai chi sono
Quando pei tristi più non sia perdono.


Questi versi dicono abbastanza in quale concetto si tenesse dagli onesti in Roma frate Gavazzi: ma quello sciagurato di sacerdote chiamato Spola, cui non rifuggi di assumere per un momento la dignità pontificale, qual fine fece egli mai, poiché nulla più sapemmo di lui? Piangerà forse nel raccoglimento la momentanea invereconda ambizione di aver voluto occupare il posto del pontefice.

Ritornando alla solennità della Pasqua in san Pietro, diremo che vi fu, è vero, un eerto concorso di popolo; ma istituire un paragone fra ciò che presenta di ragguardevole la benedizione di Pasqua nella piazza di san Pietro allorquando vi è il papa, e quella dell’anno 1849 in cui era assente da Roma, sarebbe paragonare un convito principesco con una riunione di bettola. Ove eran difatti nel 1849 le molte e molte migliaia di stranieri di tutte le nazioni che si trattengono espressamente in Roma o vi si recano a disegno da tutte le parti del mondo? Ov’era il corpo diplomatico? Ove la nobiltà o borghesia romana, e gli equipaggi sfarzosi, e le livree di gala? Ove insomma quella eletta di tante celebrità della società umaua che vi si accoglievano negli anni antecedenti?

Quale colpo d’occhio imponente non presenta la piazza di san Pietro allorquando oltre alla esibizione di tanti segni dell’umana grandezza, ti presenta pur quelli della fede fervente che attira le infime classi della società su quella piazza smisurata per ricevervi la benedizione papale? Non è egli edificante allora la vista di tanti poveri pellegrini