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della rivoluzione di roma | 311 |
vasi fuori che alla guerra dell’indipendenza; e che la repubblica romana era idoleggiata quasi al punto ch’essa fosse tutto, e che lo stabilimento di un governo puramente democratico in Roma fosse di per se solo atto ad assicurare la indipendenza che nell’Italia subalpina andavasi colle armi a propugnare.
I repubblicani di buon senso e di buona fede accusavano apertamente il governo per tanta incuria, quasi che si fosse fatto giungere l’acqua alla gola prima di parlare di armi e di armate, o di disposizioni bellicose. Le accuse eran giuste purtroppo, le date parlano da per loro, ed una delle ragioni principali che consigliavano questa incuria risiedeva nell’odio che i repubblicani portavano al governo del Piemonte e a Carlo Alberto che n’era il capo.
Sentiamo i lamenti che a questo proposito venivan fatti dalla Speranza dell’Epoca del giorno 27:
«Ieri il rappresentante del popolo Pietro Sterbini, manteneva all’assemblea, che non si dovessero inviare le nostre truppe in Lombardia se prima il governo di Piemonte non dichiarasse di riconoscere la Repubblica romana. A questa opinione noi non avremmo neppur tolto a rispondere, se per più d’un lato non ci fosse riferito, tale essere la sentenza del comitato esecutivo o almeno di taluno de’ suoi membri. Per vero dire noi non vogliamo ancora credere alla realtà di un tale racconto. Troppo in vero, troppo ne sarebbe grave il vedere il nostro paese, il nostro governo in sì basso stato caduto da mercanteggiare e patteggiare, quando si tratta dell’indipendenza italiana.»
E più sotto, in un altro articolo:
«E pure il governo di Roma, un governo che proclamò come migliore la forma repubblicana, risponde a bassa voce all’appello dell’Italia, e per nulla spiega quell’energia che è indivisibile dalla grande occasione, e senza la quale tutto è in pericolo. Non è tempo di simulazioni. Mentre l’immensa maggioranza del popolo non