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304 | storia |
La Pallade difatti del 24, la Pallade ch’era tuttora il giornale più popolare di tutti, scagliava nel suo numero 503 contro la medesima le accuse di continuare ne’ suoi vaniloqui insipienti, di essere bambina di sapere e digiuna di ogni esperienza delle pubbliche cose. «Non dobbiamo a lei, diceva, questi uomini, che seggono di presente al governo dello stato, inabili ad eseguire quanto e più forse ch’essa non sia a deliberare; così che fra la inettitudine dei legislatori e la spregevole nullità dei governanti noi veggiamo la repubblica condotta a mal termine e quasi spirante sotto i colpi parricidi?» Si accusava quindi l’assemblea d’incuria manifesta per la guerra d’indipendenza, si accusava anche di aver tradito il popolo, e si applaudiva al progetto di scioglierla.1
Che cosa potrebbe dirsi di peggio contro nientemeno che i legislatori repubblicani ed i rappresentanti del popolo? E da chi? Dal giornale che ne rappresentava gl’interessi, e che professava i principi più ricisamente democratici e repubblicani?
Era inoltre attaccato e balestrato il governo, ed accusato d’inettezza e di mancanza di energia da alcuni foglietti volanti sotto il titolo di Svegliarino e sottoscritti da Un repubblicano dell’Italia centrale, i quali posson leggersi nella nostra raccolta.2
Che se ai disordini prenarrati si aggiungan quelli di cui ora parleremo, dovrà convenire ognuno che i governi popolari ne’tempi moderni, colla esistenza dei circoli, colla libertà della stampa, coll’assenza di principi religiosi, collo sbrigliamento delle passioni, colla cupidigia dell’oro, colia intemperanza di freno, colla disistima o il disprezzo verso il principio di autorità, e coll’amore smodato pel lusso e pei piaceri della vita, non solo non pos-