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Un foglietto che si stampò subito per riversarne, come dicemmo, la colpa sui neri, terminava così:

«La ditta Pio-Bombardatrice di Gaeta, se non la di struggete, non ci darà pace. Domani incendieranno anche le case nostre. Morte ai nemici della santa libertà dei popoli, e morte senza misericordia!»1

Se queste cose attribuivansi ai neri vediamo che cosa facessero gli ultra bianchi, ch’erano i loro nemici accaniti.

Narreremo il fatto accaduto al palazzo Farnese, ove la guardia nazionale ebbe il merito di ristabilire l’ordine; ma prima di far ciò diremo che il corpo della guardia civica o nazionale non ostante la intrusione di eterogenei elementi che ne viziaron la essenza, rimase in complesso un corpo onorato, nemico dei disordini, alieno dalle rapine, amante dell’ordine pubblico. Non si potrebbe al certo predire quali sconcerti sarebbero potuti accadere in una città come Roma, fatta in allora nido e adunamento di tanti torbidi elementi, se non avesse esistito quel corpo. Esso, è vero, non operò tutto il bene che avrebbe potuto, non fu il più saldo sostegno della sovranità bersagliata; però quanto alla tutela dei cittadini, risparmiò molto male che non si vide, ma che sarebbe accaduto inevitabilmente.

Nella notte adunque dal 18 al 19 marzo essendosi conosciuto dai più facinorosi del partito repubblicano che al palazzo Farnese sarebbersi abbassati gli stemmi reali, a preservazione d’insulti, o a pretesto di disordini, una mano di forsennati recossi a quel palazzo imprecando e vociferando, a colpi di pietre fracassandone i vetri, e minacciando in fine d’invadere e manomettere il palazzo medesimo.

Una pattuglia della guardia nazionale pronta accorse dal vicino quartiere del 7° battaglione, e con modi di persuasione anzichè di minaccia, riuscì non senza difficoltà a farli desistere, nè andò immune da rampogne e da accenti di sdegno per cosiffatta sua intromissione.


  1. Vedi Documenti, n. 92.