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276 | storia |
Ora narreremo l’accaduto alla chiesa nuova il giorno 10 di marzo.
In coerenza del decreto del 24 febbraio sulla requisizione delle campane, alcuni agenti del governo portaronsi nella mattina alla chiesa di san Filippo Neri detta dei padri Filippini, od anche chiesa nuova, e richieser le campane in conformità del decreto summenzionato.
Ricusarono i padri Filippini di consegnarle; nacque una discussione animata, e formossi all’istante un attruppamento numeroso di vero popolo romano il quale professa verso il detto santo una divozione ferventissima, in guisa che esso è considerato come l’apostolo di Roma. Erasi atteggiato il popolo decisamente ad impedire che le campane fosser tolte. Gli agenti a tal tista ritiraronsi prudentemente. Se non che verso sera, e cogliendo il momento in cui la popolazione erasi da quei luogo allontanata, tanto gli agenti stessi quanto i loro satelliti irruppero violentemente nella casa religiosa dei Filippini, ove, trovate chiuse le porte, fra le imprecazioni della moltitudine fremente, osarono di appiccare il fuoco con acqua di ragia alla porta laterale.
Giunse l’autorità governativa con buona mano di carabinieri e truppa di linea. Sopracchiamati i vigili, accorsero cd estinser l’incendio. Atterrate quindi a viva forza le porte, un numero di plebaglia feroce e proterva, aizzata e guidata da’ più protervi agitatori, inondò il convento; e fra le grida e bestemmie da forsennati, furon calate le campane, meno quella di san Filippo.
I due reverendi padri Cesarini e Conca, rispettabilissimi per senno, per virtù e per le cariche che in quell’istituto ricoprivano, istituto ch’è uno dei più simpatici e popolari di Roma, vennero arrestati, minacciati, ed esposti a villanie ed insulti selvaggi.
E si ebbe dall’autorità la sfrontata impudenza di encomiare un sì vergognoso attentato, e di qualificare da buoni cittadini di Roma quegli sciagurati (che se vi furon