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della rivoluzione di roma | 271 |
Lo stesso giorno 6 l’assemblea romana vedendo che la Toscana non risolvevasi alla unificazione con Roma, ad onta delle simpatie scambievoli (almeno in apparenza) fra i due governi, risolvette di spedire in Firenze come negoziatori per la tanto desiderata unificazione i cittadini:
Ai medesimi poi si aggiunse pure dai circoli il Ciceruacchio ed altri popolani, ma di questi non parlò il giornale officiale. Fu un farmaco di opportunità che si credette d’inserire nella ricetta, per renderla più operativa e sollecita.2
La unificazione di Roma colla Toscana era, e doveva essere senza dubbio, a cuore del Mazzini il quale aveva detto nella sua lettera da Firenze, che riportammo nel capitolo precedente, queste precise parole: «Tacqui finora, perchè io sperava rispondere coll’annunzio dell’unificazione della provincia italiana, ov’io sono, con Roma. La precederò or di poco tra voi.»
Or dunque il Mazzini o chi per esso aggiunse al dottore Pietro Maestri, che già fin dal 23 febbraio era stato eletto all’officio di rappresentante in Firenze della repubblica romana e di negoziatore per la unificazione,3 i tre che vediamo scelti dall’assemblea per detto oggetto, dopo un discorso che il Mazzini stesso e l’Audinot pronunziarono in favore di siffatta unificazione.4
Sembra che molti fra i caldi liberali di quel ducato la volessero. I deputati per far parte della Costituente ita-