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della rivoluzione di roma | 269 |
Dicemmo nel capitolo precedente siccome con decreto del 21 febbraio venisse autorizzata la banca romana ad emettere boni per la somma di un milione e trecento mila scudi, dei quali, novecento mila pel governo, e quattrocento mila pel commercio di Roma, Bologna ed Ancona.
Giunsero il giorno 4 dei reclami perchè la misura non aveva avuto il suo compimento, e nella riunione dell’assemblea di detto giorno, che fu animatissima, il Guiccioli venne accusato di trascuranza nel sorvegliare la banca per l’adempimento del carico assunto a sollievo massimamente del commercio languente non solo, ma in istato di ruina. Disse il Guiccioli alcune poche parole per giustificarsi, si ritirò dall’assemblea, e dette quindi la sua dimissione.
Nella seduta però del giorno 6 gli attacchi furono assai più violenti, ed in ispecie per parte del deputato Politi il quale invitò il Guiccioli, che era intervenuto alla Camera, di salire alla tribuna per rispondere.
Salito in ringhiera, disse queste parole: «L’essere stato l’altro giorno da’ miei onorevoli compagni accusato....;» ma appena pronunciata la parola accusato, fu assalito da tal commozione e da sì forte stringimento, che le sue labbra non poterono più proferir verbo. Pressochè tutti i deputati gridarono: accusato no.... coraggio coraggio, l’assemblea e le tribune applaudirono a quell’uomo di coscienza integerrima, ma egli non potè continuare e discese dalla tribuna. Il Galletti si slanciò alla tribuna e ne prese le difese con molto calore.1
Amando il Guiccioli di allontanarsi da Roma, si trovò un mezzo termine e per esso onorevole, e fu quello di eleggerlo inviato straordinario della repubblica romana presso il governo provvisorio di Venezia.2
La Pallade del 7 parlando di questo dispiacevole incidente, diceva così: