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della rivoluzione di roma | 265 |
sostituto al ministero della guerra, nelle sue Memorie.1 Questi Greci si dissero armati di tutto punto, e dovevan venire dall’Epiro.
Riassumendo ora la filatessa delle disposizioni governative durante la prima quindicina di marzo, diremo che il 2 emetteva il governo repubblicano un manifesto a tutti i popoli, che così diceva: «Un popolo novello vi si presenta a dimandare e ad offrire benevolenza, rispetto, fratellanza.» Vi si accusava al solito il papato di essersi frapposto per mille anni fra l’antica sua grandezza, e la presente sua resurrezione, e si concludeva con queste parole: «La Repubblica romana si accinge a tradurre le leggi di moralità e carità universale nella condotta che si propone, e nello svolgimento della sua vita politica.»2
Ma sotto il detto giorno altro e più interessante episodio ci si presenta, il quale ci è forza di narrare con qualche particolarità.
Riportammo nel capitolo VI la lettera del Gioberti a monsignor Muzzarelli, colla quale offeriva l’intervento armato, e narrammo lo sdegno ch’eccitò ne’ partigiani di repubblica in Roma al punto, che contribuì in gran parte ad accelerare l’impianto di quel governo. Ora narreremo le ire dei repubblicani tradotte in atto contro il Gioberti.3
La rivoluzione, non può negarsi, è simile a Saturno che, secondo la favola, distruggeva i propri figli. Gioberti eccitò la rivoluzione, e fu dalla medesima più tardi schiacciato. Ciò che andiamo a narrare proverà che quel Gioberti che aveva fatto girare la testa agl’italiani, che giunto in Roma, ebbe guardie d’onore all’alloggio, visite di personaggi illustri, elogio dall’abate Rezzi nella romana università, ovazioni dal pubblico; quel Gioberti cui inchinavano riverenti tutti coloro ai quali sembrava attuabile il connubio fra rivoluzione e monarchia, fra libertà e reli-