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puramente uomo, è avvilimento, è degradazione, è servaggio.» 1

E verso il fine del Terzo punto aggiungeva:

«Vienna però in fine è caduta: ma dopo otto giorni di accanita resistenza, ma in faccia ad un’armata formidabile di ccntoventomila uomini, ma sotto il peso di tutti i mezzi di distruzione, che la scienza ha inventati e la barbarie ha messi in opera con un furore infernale; ma nella sua stessa caduta ha oppresso il suo vincitore. Un trono, che si asside sopra le baionette e i cannoni, non può avere durata. Il bombardamento e l’incendio di Vienna, è la decadenza dell’imperatore, è la distruzione dell’impero.

» Ora egli è la invitta memoria di questi prodi, caduti per la libertà sotto il ferro ed il fuoco crudele di una reazione quanto empia tanto insensata, che noi onoriamo qui oggi con rito religioso.

» Ma come? Non furon costoro sudditi insorti contro il legittimo potere? Non furono spergiuri, non furon ribelli, condannati egualmente dal diritto pubblico e dalla religione? No, no, che non è altrimenti così. La parola insurrezione non è sinonimo di ribellione. Dio stesso, nelle sacre scritture, fece sentire al re Roboamo che nelle dimande legittime e giuste, il potere deve cominciare non solo dal condiscendere ma dal servire il popolo ed obbedirgli, per esserne obbedito e servito.»

Questo non è che un tenue saggio. Noi però invitiamo i nostri lettori a leggere l’intero discorso. L’effetto che produsse fa immenso, profonde le impressioni che lasciò nell’animo degli uditori; non possiamo quindi lodare abbastanza i Romani, se con questa sorta di eccitamenti che loro porgevansi anche dal pergamo, venuta poi la repubblica, non commettessero ben altri sconci di quelli che commisero, sebbene istigati e guidati per la massima parte da individui che a Roma non appartenevano.


  1. Vedi Ventura, pag. quarta e quinta.