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Il pensiero del Gioberti ci sembra che fosse eminentemente astuto, perchè tendeva in primo luogo a togliere agli esteri il richiesto intervento, appropriarsene quindi il merito, e sventare i progetti ornai palesi dei repubblicani.

Si guardò bene il governo in Roma dal pubblicare la lettera del Gioberti. Se ne penetrò però il contenuto. Furono esecrati il suo nome ed il suo progetto, il quale anzi affrettò la proclamazione della repubblica.

Questi sdegni feroci dei repubblicani i quali se eran nemici del papa, non lo erano meno di Carlo Alberto, proruppero apertamente in sui primi di febbraio. Non sembra però che fosser divisi dal governo provvisorio in gennaio, perchè il Farini ci dà tanto il testo di una convenzione che proponevasi il 18 gennaio coll’avvocato Berghini per il Piemonte, quanto una lettera del Muzzarelli del 30 gennaio diretta al Berghini, nella quale dicevasi che Roma comprendeva troppo bene che l’aiuto del Piemonte poteva salvarla da qualunque straniero intervento.1

Noi arrestiamo qui il discorso sulla proposta del Gioberti, già lungo abbastanza, per riprenderlo nei capitolo seguente, e nel mese di marzo, allorquando divulgatasi finalmente dal governo, produsse lo scoppio delle ire repubblicane ancor più pronunziate contro il Gioberti, le quali lo fecero esecrare, maledire, e qualificare come traditore d’Italia. Per ora ci basta di aver provato quanto fossero discrepanti fra loro i guidatori del movimento italiano, poiché agli occhi degli uni era indulgenza plenaria quello che era peccato mortale per gli altri, ed in Roma si venne trattando il Gioberti come sarebbesi fatto ad un Minardi e ad un Nardoni.

Essendosi pertanto detto da noi abbastanza sulla nazionalità e sulla unità della Italia, sulle cupidigie del Pie-

  1. Vedi Farini, vol. III, pag. 133-136