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mento lanciata contro Carlo Alberto dai repubblicani: imperocchè se una gli si doveva apporre, era quella piuttosto di ambizioso vagheggiatore della corona d’Italia. La seconda, i fatti occorsi darci la prova delle scissure che esistono nel nostro paese e che sembrano essere il retaggio degl’Italiani.

Ciò per altro che abbiam detto in via di digressione trova la sua applicazione immediata in un fatto importante che nel gennaio del 1849 occorse, e di cui ora diremo. Questo fatto è il seguente.

Allorquando riuscirono infruttuose le pratiche per indurre il pontefice a ritornare in Roma, la nostra città non solo trovavasi senza capo, ma era minacciata dall’intervento straniero.

Il Piemonte allora, sia per contrarietà decisa a questo estero intervento (la quale poteva venir giustificata da un sentimento di orgoglio nazionale), sia che ad estendere sempre più la sua influenza in Italia gli fosse sembrato acconcio un intervento invece delle proprie armi, fece proporre il 28 gennaio al governo romano per mezzo del ministro Gioberti d’inviare un corpo di 20 mila uomini negli stati della Chiesa per facilitare al pontefice il ritorno in Roma, escludendo così ed Austriaci, e Francesi, e Spagnoli. Assestate per tal modo le cose romane dai Piemontesi, è indubitato che veniva loro assicurata la tanto desiderata egemonia sulle cose italiane.

La proposta venne fatta dal Gioberti colla lettera seguente scritta al Muzzarelli:


«Illustrissimo signor presidente,


» Ricevo da Gaeta la lieta notizia, che il conte Martini fu accolto amichevolmente dal Santo Padre in qualità di nostro ambasciatore. Tra le molte cose che gli disse il Santo Padre sul conto degli affari correnti, questi mo-