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tore padre Daniele Bartoli, cui il famoso Pietro Giordani adattò per qualificarlo il titolo di tremendo.

E Ravenna, città più antica di Roma, divenuta nel 404 dell’era cristiana capitale dell’impero d’occidente, e quindi sede degli csarchi, conserva nel mausoleo di Teodorico uno degli avanzi della sua passata grandezza, cui vennero ad avvalorare le gesta dei Polentani e di altre famiglie celebri. La sola tomba di Dante è tale una gloria, da doverle essere invidiata dalle altre città italiane.

Che se volgiamo il pensiero a Napoli e Sicilia, trattandosi di un regno di nove milioni di abitanti, con un’armata di 100 mila uomini ed una marina proporzionatamente imponente, è chiaro ch’egli potrà, se vuolsi, rinunziare a viste d’ingrandimento, ma assoggettarsi a perdere la propria autonomia per servire alle viste degli unitari, noi crederemo giammai. È il regno di Napoli un paese ricco, industre, terra feracissima, clima delizioso, governo provvido, codici eccellenti, abitanti d’indole mite e tranquilla. Possiede avanzi di antichità remota, e può vantarsi di aver prodotto un giorno Ovidio e Cicerone, e ne’ tempi moderni un Vico, un Giannone, un Filangieri. Non vi è insomma stato alcuno in Italia che a quello di Napoli possa paragonarsi. Esso porta in sè caratteristiche tali, da imprimergli una fisonomia sua propria e individuale. Però ha un neo che potrebbe divenire fatalmente cancrenoso, ed è la corruttibilità in pressoché tutte le gradazioni sociali. — Quanto alla Sicilia ha uomini di svegliatissimo ingegno e più dei Napolitani vagheggiatori d’indipendenza e progresso; quindi riteniamo che non sarà mai molto proclive a stare sotto il giogo napolitano, e tanto meno sotto il piemontese. Rammentano i Siciliani che nella loro isola nacquero Archimede, Empedocle, Teocrito, fra gli antichi, e l’angelicamente melodioso Bellini, fra’ moderni.

Assai ci resterebbe a dire se tutte non che sviluppare, accennar volessimo le particolarità che a questa o a quell’altra città d’Italia riferisconsi, e i monumenti spe-