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che a ciò ragioni o naturali o d’interesse politico per avventura militassero, quanto più non sarebbe scabroso e arduo fare di tutti questi membri un corpo unico, e mantenerlo validamente concorde? Potrebbesi forse ragionevolmente far disparire i due miseri ducati di Modena e di Parma, accrescendone secondo le diverse prossimità il Piemonte, la Toscana e la Lombardia. Nè tuttavia dubito che a far questo la difficoltà non fusse maggiore dalla parte de’ popoli che da quella de’ principi. Abbiamo veduto la piccola Lucca tollerar più di essere dilaniata da quelle arpie ducali, che perdere la misera sovranità, incorporandosi colla Toscana, a cui in fine nessun vantaggio è provenuto. Diranno i così detti Unitari, sieno di genere monarcale o repubblicano: Bisogna domare una volta queste superbie municipali, e costringere a forza le città ad essere quel che richiede la somma felicità dell’intera Italia. — Per altro, ancora ciò riuscendo, non si potrebbe negare che non fusse un po’ strano obbligare, a nome della dea Libertà, non già uomini in particolare, ma intere popolazioni a vivere a modo nostro, e non secondo che elle, a ragione o a torto, vorrebbero; parendo che quando un popolo volesse essere piuttosto così che così, potesse pretendere di non dovere avere altro giudice migliore di sè, che lui stesso.» 1

Esposti dunque da noi per un lato i desideri e gli sforzi a conseguire la nazionalità, che preoccupano gran parte delle menti italiane, ed avendo riportato a rincontro le difficoltà che uomini gravi e celebrati per sapere e per patriottismo riconoscono frapporsi al suo perfetto conseguimento, lasceremo che la Provvidenza risolva le sorti degl’italiani, e noi non ci sentiam da tanto per emettere neppure una predizione. Possiamo ancor noi desiderare ciò che molti altri desiderano, ma coi desideri non si superano

  1. Vedi Ranalli, Del riordinamento d’Italia, considerazioni. Firenze, 1859, pag. 125, 126 e 127.