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Marchese Massimo d’Azeglio. — Udiamo ora un altro campione del risorgimento italiano, il marchese Massimo d’Azeglio il quale, secondo l’Armonia del 6 novembre 1859, n.° 195, pubblicava nel 1849 un suo programma ove erano le parole seguenti:

«Una triste esperienza ha dimostrato in Italia che le antipatie municipali rendono impossibili le fusioni, che ad ogni modo sarebbero vietate dall’Europa. Conviene rassicurare gli stati italiani contro progetti di sleali ingrandimenti, e persuaderli che la vera politica d’Italia è la benevolenza non l’invidia, l’unione non la discordia.» Lo stesso d’Azeglio poi nell’opuscolo Ai suoi elettori dice quanto appresso: «Che l’Italia s’unisca, formi una confederazione, metta insieme uomini, denari, forze d’ogni genere, oh! a questo ci sto, e sono cent’anni che lo predico.»1

Biagio Miraglia, di Strongoli. — Abbiamo una storia della rivoluzione romana di Biagio Miraglia di Strongoli, esule calabrese, il cui amore sviscerato per l’Italia non abbisogna di prove. Egli ivi dice quanto appresso:

«L’amore smodato del municipio, più di quel che si crede, vive ancora nella patria nostra, e sradicarlo in un istante dalle anime non è possibile a forza umana. I fatti che raccontiamo ne sono una prova evidentissima.»2

Angelo Brofferio. — Abbiamo pure l’avvocato Brofferio caldissimo propugnatore della indipendenza e della nazionalità italiana, il quale nella sua storia del Piemonte esce in questa sentenza:

«Non sorgerà mai, persuadiamocene ben bene, la desiderata nazionalità italiana dalla distruzione delle nazionalità venete, piemontesi, liguri, lombarde, romane, sicule e partenopee; nazionalità che hanno sempre

  1. Vedi d’Azeglio, Ai suoi elettori. Torino, 1849, seconda edizione pag. 20.
  2. Vedi Miraglia di Strongoli, Storia della rivoluzione romana. Genova, 1850, pag. 122.