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cui cittadini fondarono stati fiorenti, ma vasti regni non mai. È dura impresa voler cambiare l’antico ordine di cose, ereditato dagli avi, e rinnegare le tradizioni paterne. L’Italia del mezzodì, la centrale, quella del settentrione offre paesi divisi da molti secoli di rivalità e di antagonismo, dalla diversità dell’accento, e dalla contrarietà degl’interessi. «Il Papato è la sola viva grandezza dell’Italia,» diceva il Rossi pochi giorni innanzi che cadesse sotto il pugnale dell’assassino. E questa grandezza è poi anche la salute dell’Italia. Fate prova di toglierle il Papa, e voi vedrete la Penisola tutta quanta in preda alle intestine discordie, le quali presto o tardi la trascineranno di nuovo sotto il grave giogo dello straniero.»

Conte Walewsky. — Il conte Walewsky poi, quello stesso che nel 1848 era ministro della repubblica francese in Firenze, e che posteriormente fu primo ministro di Napoleone III, pubblicava uno scritto nel 1848 (inserito nel Journal des Débats del 7 agosto, e riportato dalla Gazzetta di Bologna del 19 n. 160 e dal Pensiero italiano) nel quale fra le altre cose diceva che la centralizzazione in Italia era un ’ opera quasi impossibile.

Ecco le sue precise parole:

«I promotori coscienziosi dei principi repubblicani cominciano a comprendere inoltre la difficoltà, o meglio l’impossibilità, di applicare le loro dottrine in questo momento. Si vorrebbe in fatti una grande repubblica con un governo centrale come la repubblica francese? Ma introdurre la centralizzazione in Italia è un’opera quasi impossibile; gli usi, le tradizioni, i costumi, vi si oppongono; converrebbe, per vincere tutti questi ostacoli, il genio, la volontà e la potenza di Napoleone: una lunga perseveranza ed un’autorità dittatoriale potrebbero sole offrire la speranza di riuscirvi. Volere operare questa grande riforma mediante un governo repubblicano il quale per la sua natura stessa si troverebbe ad ogni istante in