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La storia degl’Italiani poi ci sembra somministrare questa contradizione, di essere cioè presso che tutti desiderosi di unità in teoria, ma divisi in pratica. La compressione tiene uniti Piemontesi e Liguri, ma fra loro non vi è simpatia. Vero affratellamento non crediam che sussista fra Firenze, Siena, Pisa, Livorno. Vi ha egli affezione veramente cordiale fra le popolazioni romane e le napolitane, fra queste e le siciliane, le cui rivolture del 1820 e del 1848 ci han rivelata in vece l’antipatia profonda fra loro esistente?

Che se il regno d’Italia fondato da Napoleone abbracciò una parte composta di provincie e di stati diversi d’Italia per un tempo, e la tenne unita e forte, ciò fu dovuto al braccio fermo e potente dell’imperatore, sparito il quale dalla scena del mondo, le secolari antipatie rivissero quali eran prima. E poi qual regno d’Italia era codesto, se non abbracciavano che una parte soltanto? Non esistevan separati un Piemonte, una Etruria, uno stato romano, un regno partenopeo? In fine e come vi poteva essere nazionalità se Napoleone, come osserva egregiamente Balbo, non badava a libertà negli ordinamenti interni, a nazionalità negli esterni?1

Ad onta però di tutte queste considerazioni, le idee dell’unità e della nazionalità italiana entrarono nelle teste de’suoi abitanti, non già delle masse, ma degli uomini specialmente dediti alle lettere ed agli studi, e molti uomini d’ingegno fervido e di spirito coltivato vi dieder dentro meglio che gli altri.

Questi desideri confusi, e in modo indigesto sviluppati, crearono le repubbliche cisalpina, cispadana, romana e partenopea, nello scorcio del secolo passato.

Se ne arrestò lo sviluppo pei fatti gloriosi e per le memorabili gesta di Napoleone. Lo strepito delle armi, lo

  1. Vedi Balbo, Sommario della storia d’Italia dalle origini fino ai nostri tempi. Firenze, 1856, pag. 400.