Pagina:Storia della rivoluzione di Roma (vol. III).djvu/140

136 storia

mente rispondere loro quasi che fosse un lor dipendente? Possibile ch’egli volesse dir loro se voleva o no rimanere, e promettesse di disimpegnar bene il suo officio? E non sarebbe stato ciò un riconoscere la loro autorità? E non era egli piuttosto da attendersi che rispondesse come rispose, e che assoggettasse entrambi ad una ben meritata mortificazione? Forse potrebbe obiettarcisi che entrambi per debito di officio, come ministri degli affari esteri, dovevan farlo a tutti. Agli altri ne converremo, ma a monsignor Garibaldi in allora nunzio pontificio a Napoli, interpellazioni di tal fatta sentirono di decisa stoltezza.

Ritornando in dietro rammenteremo come dopo la festa notturna del 5 ve ne fu una tutta militare il 7, ma diurna, per recare in Campidoglio la bandiera inviata a Roma da Venezia.

Sul mezzo giorno (era di domenica) difilaron pel Corso circa un mille civici ed un millecinquecento uomini di linea col generale Zamboni alla testa e sei cannoni. V’eran pure dei giovani che cantavano il coro di Magazzari sulle parole del Dall’Ongaro.

Giunta la processione al Campidoglio, vi fu un discorso dell’abate Rambaldi (quello stesso che la sera del 2 predicò dalla base del Marco Aurelio) diretto al principe Corsini, ed una risposta del principe al democratico abate.1

Ci occorre di narrare un altro fatto.

Il motu-proprio del Santo Padre, del 1° gennaio, la sua lettera del 5 al generale Zucchi, non che le corrispondeuze e le istruzioni orali che giungevan da Gaeta, dicevano chiaramente a’ soldati di onore qual fosse la condotta da doversi tenere.

Obbediente alla voce del dovere e dell’onore si mostrò principalmente il generale Zamboni, il quale divisato aveva di recarsi, fuggendo da Roma, nel luogo ove

  1. Vedi la Gazzetta di Roma dell’8 gennaio. — Vedi la Pallade dell’8. — Vedi Documenti, vol. VIII, n. 7.