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della rivoluzione di roma 7

E infine:

«Il dominio temporale dei papi è stato l’ostacolo insormontabile della nazionalità italiana.

» Se dunque questo ostacolo è rimosso, se Pio IX vuol fuggire, ei fugga. — Noi cominceremo ad essere da quel giorno Italiani, e la Chiesa non sarà più retta da una insopportabile aristocrazia, ma divenuta, come l’istituiva il Divino Maestro, una perfetta democrazia, concederà al più umile de’ sacerdoti quel diritto d’elezione, quella rappresentanza sinodale, che la tirannica corte romana aveva assorbite e concentrate in un solo collegio di porporati.»1

A sentir dunque il Corriere livornese, Roma aveva dormito fino allora. Figuriamoci se fosse stata desta! Eppure ciò che abbiamo narrato nei due precedenti volumi ci porta una serie non interrotta di due anni e mezzo di baccani, di feste, di perturbazioni. E Roma dormiva! Sarà cosi: dormiva essa, ma non lasciava dormire in pace i suoi figli!

In Livorno appena divulgata la notizia della morte del Rossi, sonaron le campane a festa, fu innalzata la bandiera tricolore sul campanile del duomo, poi una massa di gente recossi dal La Cecilia prorompendo in grida festose. Lo stesso fece dal console romano; quindi chiamò sulla terrazza il governatore Pigli il quale diceva:

« Il ministro Rossi non era amato dall’Italia solamente pe’ suoi principi politici. Dio, ne’ suoi arcani consigli, ha voluto ch’egli cadesse per mano di un figlio dell’antica repubblica di Roma.»2

Il Calambrone poi ed il Lampione di Livorno ci dieder tali articoli che appena ce li avrebbe dati la Francia del 1793. E l’Alba di Firenze del 18 novembre esciva in questa sentenza:


  1. Vedi il Corriere livornese, n. 237. — Vedi Documenti, vol. VII, n. 49.
  2. Vedi Documenti, vol. VII, n. 45.