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della rivoluzione di roma | 65 |
sesso muliebre, divenne in un subito la fabbricazione di nastri, e nappe e sciarpe coi tre colori italiani.
Questa circostanza pertanto destò tale ilarità, che nello insieme il carnevale dell’anno 1848, ad onta che molti non vi prendesser parte, riuscì abbastanza brillante.
Se non che il partito che avversava il carnevale, perchè lo riguardava siccome cosa futile ed esprimente ilarità e contentezza, laddove volevansi eccitare sensi di sdegno, rancore ed avvilimento, mal tollerando lo scacco ricevuto, meditò di prenderne la rivincita nell’ultimo giorno, e vi riuscì perfettamente dome ora narreremo.
Ciò sentirà, ne siam certi, del favoloso pei nostri lettori perchè costituisce il trionfo più solenne che siasi mai visto dell’ardire e della forza dei pochi ma astuti, sopra i molti inesperti.
Venne, in pensiero a qualcuno (si disse comunemente al Meucci) di proibir la festa detta volgarmente dei moccoletti, che tanto piace ai Romani ed agli esteri nella ultima sera di carnevale, e ciò come un ecatombe espiatoria che i Romani immolavano ai lutti di Lombardia.
L’apparente spontaneità del fatto in una città sì pacifica e illustre come Roma, non avrebbe potuto a meno di non produrre una grandissima impressione nelle altre città, e perciò non possiamo non congratularci cogli autori del progetto i quali volendo rendere indipendente l’Italia, si appigliarono a tali mezzi, siccome atti a raggiungere il loro scopo. Roma astenutasi dalla festa dei moccoletti non poteva non impensierire chi presiedeva agli aulici consigli in Vienna, e non incoraggiare ad un tempo i Lombardi che ardevano senza più di venire alle mani. La cosa veduta da noi ebbe del comico, ma all’estero non poteva non apparire grave e compromettente.
Concepito il disegno, venne tosto comunicato in quei soliti luoghi d’onde prendeva le mosse il movimento, e diramaronsi gli ordini, o come dicevasi la parola d’ordine che di bocca in bocca passando sonava così: «non più