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idea dello spirito di vertigine che invadeva i sommovitori, riportiamo il brano seguente:

«Il 15 novembre 1848.


»Roma, quella Roma che da lungo tempo pareva ma che non fu nè sarà mai in letale sonno giacente, oggi si è vista alla primiera gioia ridesta, e gettando improvvisamente da sè con mano forte e risoluta il manto sepolcrale che la ricopriva, si è mostra di nuovo col crine inghirlandato di rose, e si è udito per le sue vie ribenedire quel nome che sempre glorioso si sentì echeggiare.

»Per essa adunque in un giorno sì bello dispiegò Roma le sue bandiere, e sventolanti fra una immensa folla di popolo plaudente al nome di Roma e del popolo romano, furon portate fra torchi accesi, alla caserma dei carabinieri invitandoli a fare parte di quella dimostrazione con un indirizzo che li chiamava fratelli, intendendo così di stringere vieppiù quell’unione che la forza delle circostanze e il bene dell’Italia aveva stretti ad un patto.

»Non indugiarono le grandi porte di quel vasto quartiere a spalancarsi, e lasciare libera l’uscita a que’ bravi militi, che si gittaron precipitosi fra le braccia di un popolo, da cui più assai di prima allontanare si volevano. »[1]

Dopo di ciò recaronsi tutti nelle altre caserme collo stesso intendimento di affratellarsi co’ militi, e per ultimo andarono a festeggiare l’avvocato Galletti, giunto di fresco alla locanda della Minerva.[2]

E così fra lo squallore, la sorpresa, lo spavento da una parte, le cospirazioni, i delitti, i tripudi dall’altra, si passò il giorno 15 di novembre.


  1. Vedi il VII vol. Documenti n. 31 ½.
  2. Vedi la Pallade, n. 396. — Vedi Lubiensky, pag. 253. — Vedi il Ristretto del processo Rossi, pag. 413.