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della rivoluzione di roma | 507 |
di dare le opportune disposizioni pei carabinieri al colonpello Calderari, non tanto a tutela della sua persona, quanto per assicurare l’ordine pubblico. Ricusò costantemente una scorta,1 e non pensò a ordinare che almeno un distaccamento di carabinieri gli facesse ala quando sarebbe sceso dal legno, per salir la scala del palazzo della Cancelleria. Carabinieri non vidersi; e se ve ne fu taluno qua e là disseminato, non si conobbe affatto che prendesser parte attiva, neppure per il mantenimento dell’ordine. Parve insomma che l’arma dei carabinieri in quel giorno non esistesse.
Fu avvertito il Rossi del pericolo che sovrastavagli dalla duchessa di Rignano, con apposito biglietto; 2 ne fu avvertito pure da un monsignor Morini; 3 e vuolsi ancora che ricevesse altro biglietto dalla contessa di Menou,4 nel quale gli si diceva: «guardatevi dallo andare al palazzo legistativo, la morte vi ci attende.» Si disse comunemente che rispondesse: «la causa del papa è la causa di Dio.» 5
Rammenteranno i nostri lettori aver noi già detto che ripartita la prima legione per le Romagne il giorno 23 settembre , una porzione (centoquaranta circa) rimase in Roma sotto il comando di un Luigi Grandoni, componendo un battaglione separato che fu detto dei reduci. Il Grandoni figurò poi nel processo come uno dei capi, ed i militi sotto i suoi ordini come i complici ed i cospiratori principali per consumare il delitto.
Di questi pertanto una porzione composta di cinquanta o sessanta individui circa, era sulla piazza della Cancelleria con una lor tunichetta particolare, chiamata volgarmente la panuntella. Costoro secondo le deposizioni processuali face-