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della rivoluzione di roma | 479 |
nasse poi o Recchi, o Mamiani, o Fabbri, o Rossi, obbedivano egualmente a tutti. Si univano anche senza convinzione alle grida del giorno, e in seguito obbedirono anehe a Mazzini. La nostra storia ci presenta ridondanza di puerilità, di pusillanimità, di sciocchezze: e come «rara avis in terris, nigroque simillima cycno,» gli esempi di fortezza d’animo e di coraggio civile, o non vi furono affatto, o furonvi in una proporzione assolutamente microscopica.
Non intendiamo con ciò di offendere veruno. I nostri discorsi si riferiscono alle generalità, e non alle specialità. Chi si sente immune dalla taccia di pusillanime, tanto meglio per esso. Avrà in sè la convinzione di avere adempiuto il proprio dovere.
Venendo agli atti del ministro Rossi rammenteremo come il primo fosse l’annullamento di quella disposizione di polizia colla quale s’interdiceva la esportazione del numerario per l’estero. Quell’atto venne promulgato il 18 di settembre.1
Lo stesso giorno venne pure soppresso il ministero di polizia e incorporato in quello dell’interno.2 La Gazzetta di Roma poi recava in un ben forbito articolo di fattura del Rossi, un cenno delle sue massime, e dei suoi principi sulla lega italiana, ove non mancava di rintuzzare quelle accuse che dal Piemonte venivan mosse contro la corte di Roma, quasi che da essa piuttosto che dallo stesso Piemonte fosse provenuta la sua non attuazione.
Intanto però quel vedere richiamata a se la polizia, allontanato l’avvocato Galletti, spedito a Parigi l’Accursi, rimandata nelle Romagne fin dal 23 settembre la legione romana, eran tali cose da indicare chiaramente che il Rossi voleva scomporre pian piano le fila della rivoluzione; e se i talenti e la capacità fosser bastati, forse vi sarebbe riu-