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462 | storia |
Il gran duca pubblicò un proclama ai Toscani sui casi di Livorno, che qualificò come frutti di passioni violenti e istigazioni perverse che agitano le moltitudini, aggiungendo ch’esisteva una macchinazione tendente a fare della Toscana centro ad un rovesciamento d’Italia, e mettere in pericolo colle istituzioni toscane la quiete, l’ordine e l’avvenire.1
Volgendo ora lo sguardo al reame di Napoli troviamo che quattro giorni dopo il proclama del gran duca annunciante i fatti tristissimi della Toscana, altro sangue italiano versavasi abbondantemente in Messina, la quale dopo un feroce combattimento cadeva di nuovo in poter de’ regî.2
E questo sangue che versavasi a Messina e quello che si spargeva a Livorno, non era già per difendere il patrio suolo dal nemico d’Italia il Tedesco, no, spargevasi con insensato consiglio: perchè una parte degl’Italiani intolleranti di freno insorgevano qua e là contro i lor governi, e preferivano di obbedire alla esacrabile discordia piuttosto che ai consigli temperati della concordia fraterna.
E così i pretesi tradimenti del re Sabaudo, le speranze di Venezia, i moti incomposti e feroci di Livorno, i trionfi cruenti del Borbone di Napoli, e gl’imbarazzi della corte di Roma tenevan gli animi sempre più incerti, e più ad irritazione che a composizione proclivi.
Ma la chiusura delle Camere legislative e la scarsezza dei fogli volanti che nella prima quindicina di settembre pubblicaronsi, dettero un aspetto di quiete alla città, al che non poco contribuì pure e la partenza dei deputati e le vacanze del foro. Solo vi rimase il giornalismo serio, e quei giornaletti che per un turpe beneficio vendevansi pubblicamente. La varietà però e la singolarità dei loro titoli parve che assumesse l’officio di distrarre e di baloccare i Romani e d’impedire che cadessero in uno stato di sonnolenza.