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Il gran duca pubblicò un proclama ai Toscani sui casi di Livorno, che qualificò come frutti di passioni violenti e istigazioni perverse che agitano le moltitudini, aggiungendo ch’esisteva una macchinazione tendente a fare della Toscana centro ad un rovesciamento d’Italia, e mettere in pericolo colle istituzioni toscane la quiete, l’ordine e l’avvenire.1

Volgendo ora lo sguardo al reame di Napoli troviamo che quattro giorni dopo il proclama del gran duca annunciante i fatti tristissimi della Toscana, altro sangue italiano versavasi abbondantemente in Messina, la quale dopo un feroce combattimento cadeva di nuovo in poter de’ regî.2

E questo sangue che versavasi a Messina e quello che si spargeva a Livorno, non era già per difendere il patrio suolo dal nemico d’Italia il Tedesco, no, spargevasi con insensato consiglio: perchè una parte degl’Italiani intolleranti di freno insorgevano qua e là contro i lor governi, e preferivano di obbedire alla esacrabile discordia piuttosto che ai consigli temperati della concordia fraterna.

E così i pretesi tradimenti del re Sabaudo, le speranze di Venezia, i moti incomposti e feroci di Livorno, i trionfi cruenti del Borbone di Napoli, e gl’imbarazzi della corte di Roma tenevan gli animi sempre più incerti, e più ad irritazione che a composizione proclivi.

Ma la chiusura delle Camere legislative e la scarsezza dei fogli volanti che nella prima quindicina di settembre pubblicaronsi, dettero un aspetto di quiete alla città, al che non poco contribuì pure e la partenza dei deputati e le vacanze del foro. Solo vi rimase il giornalismo serio, e quei giornaletti che per un turpe beneficio vendevansi pubblicamente. La varietà però e la singolarità dei loro titoli parve che assumesse l’officio di distrarre e di baloccare i Romani e d’impedire che cadessero in uno stato di sonnolenza.


  1. Vedi Documenti, vol. VI, n. 167.
  2. Vedi Relazione delle operazioni militari di Messina, nel settembre 1848 nel vol. XL. Miscellanee, n. 7.