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Gazzetta di Roma, e lo trovammo conforme al foglietto che circolò.1

Non possiam pretermettere di narrare un altro fatto il quale, quantunque della minima importanza perchè non ebbe conseguenze, serve a chiarire luminosamente fino a qual punto possano giungere la baldanza e la ipocrisia di pochi a danno dell’universale.

La minacciata invasione austriaca era considerata come una sventura ed una violazione dei diritti del principato. Il governo se ne richiamò con un atto pubblico e solenne, e fece bene. Ma ciò che si fece da alcuni fanatici per provocare una dimostrazione di lutto e atteggiare il popolo a mestizia, fu una infrazione degli usi ed una violenza contro i diritti dei cittadini, e come tale lo dobbiamo biasimare: perchè il giorno 6 di agosto, giorno festivo e nel quale più del consueto: piace ai cittadini di recarsi a diporto in vettura sia al Pincio o a villa Borghese, saltò in testa a pochi impronti di collocarsi sulla piazza del Popolo all’imboccatura del Corso, sbarrare il passaggio e costringere le vetture a prendere per altra via. In una giornata simile, essi dicevano, convien dare gualche prova evidente di pubblica mestizia. Fummo di ciò testimoni noi stessi, e non crediamo che sotto un governo, fosse anche il più assoluto e tirannico, si permetterebbero cose simili. Ma in Roma regnava la libertà, e pure di queste cose si videro.

Comprendiamo agevolmente che siccome de minimis non curat praetor, così non credettero nè il Farini nè il Ranalli di farne menzione nelle loro pregiate storie; pur tuttavia, quantunque la cosa in se stessa sia di minima importanza, è di grave momento per le riflessioni cui può dar luogo.

Il giornale l’Epoca però non ebbe rossore di narrare queste nostre vergogne, qualificandole di eroismi e rive-

  1. Vedi il Giornale romano dell’8 agosto 1848. — Vedi la Gazzetta di Roma del 7 detto, n. 153, pag. 613. — Vedi vol. VI, Documenti, numeri 127 e 130.