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«Signori,

»Egli è bello e doveroso che le prime parole, che si odano risonare in questo recinto, siano parole d’ossequio e di gratitudine all’immortale principe datore dello Statuto. Pio IX nel cuor suo generoso ha sentito che la cristiana carità dee poter scegliere il bene migliore e spontaneamente moltiplicarlo, e che la spontanea scelta del bene non è possibile dove è sbandita la libertà. Però in questa nobilissima parte d’Italia, e dopo tanto corso di secoli, il principe nostro inaugura alla perfine quest’oggi il regno della libertà vera e legale. Le pubbliche guarentigie largite da lui vengono in atto quest’oggi; e all’arbitrio, ai privilegi, alla tutela strettissima e non sindacabile, succede l’imperio delle leggi e del comune consiglio.

»Non sempre la grandezza de’popoli è da misurare dall’ampiezza del territorio e dalla potenza delle armi. Imperocchè ogni vera e salda grandezza scaturisce dallo intelletto e dall’animo. E però in questa nè molto ampia, nè formidabile provincia italiana, noi tuttavolta siamo chiamati a grandissime cose; e noi dobbiamo con coraggio non presuntuoso, e con magnanimo sforzo, tentare di non troppo riuscire inferiori alle memorie di Roma, e all’altezza augusta del pontificato.

»Un’opera vasta e feconda s’è qui incominciata, il cui finale risultamento riuscirà come un suggello non cancellabile della civiltà dei moderni.

»Il principe nostro, come padre di tutti i fedeli dimora nell’alta sfera della celeste autorità sua, vive nella serena pace dei dogmi, dispensa al mondo la parola di Dio, prega, benedice, e perdona.

»Come sovrano e reggitore costituzionale di questi popoli, lascia alla vostra saggezza il provvedere alla più parte delle faccende temporali. Lo Statuto, aggiungendo