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della rivoluzione di roma | 257 |
zioni popolari, dall’altro è provato che fece di tutto per impedirle. Designò più di una volta le mene dei perturbatori, ed ammonì il popolo a non lasciarsi abbindolare dai loro raggiri. Le allocuzioni, le enciclichè e le circolari di segreteria di stato che abbiam riportate a suo luogo, ne fanno fede non dubbia.
Parlò ai Consultori assai risentitamente il 15 novembre 1847; parlò dalla loggia del Quirinale il giorno 11 di febbraio dell’anno corrente contro alcune dimande, e prima, nello stesso giorno, aveva parlato ai capi di corpo contro i tentativi dei perturbatori dicendo perfino di affidare alla guardia civica la sua sacra persona e quelle dei membri del sacro collegio; parlò parole tristi e commoventi il 14 di marzo, e minacciò di adottare dispiacenti risoluzioni: cosicchè tutte queste cose riunite, ove ben si considerino, non possono non giustificarlo completamente dalla imputazione di aver sempre taciuto. Fu astuzia piuttosto del partito a lui avverso, quel dare risalto alle parole che giovavanlo, e coprire col velo quelle che avrebber potuto illuminare e disingannare le menti. In una parola il papa aveva parlato abbastanza per far comprendere lo stato in cui vèrsavan 1$ cose, e sembra piuttosto che il popolo proclive sempre ad ascoltare chi lo seduce e l’inganna, desse ascolto a questi, e le parole del pontefice o non comprendesse o ponesse in non cale.
Ma la più terribile impressione fu quella che provarono i parenti di tanti e tanti giovani ch’eran volati sul campo, e che a rattenerli non eran bastate nè ragioni, nè preghiere, nè lagrime; i quali per lo meno credettero che il pontefice, se pur noi dicesse apertamente, acconsentisse almeno in cuor suo agli ardimentosi propositi di quegli animosi giovani, molti de’ quali ritenevano in buona fede di andare a combattere per lui.
Questi parenti pertanto, e le màdri sopra tutto, al vedere che il papa disapprovava la guerra, pensaron subito che i figli loro, ove le sorti delle battaglie li avesser fatti