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da ogni calamità la santa sua Chiesa, e dalla celeste Sionne degni riguardarci propizio e difenderci, e richiamare tutt’i principi e popoli all’amor della pace e della concordia tanto da noi desiderata.»

Questa allocuzione fu pubblicata in Roma in-4 nell’anno-1848 in lingua italiana, ed il testo latino riportato nella Gazzetta di Roma.1

Andremo ora esponendo primieramente i sentimenti che eccitò una così solenne e sì inaspettata allocuzione sul popolo, e soprattutto sugli aggregati ai circoli; quindi narreremo nel capitolo seguente i moti di piazza, le illegalità e le enormezze che si commisero.

Riportandoci dunque col pensiero a quei giorni nefasti che susseguirono la promulgata allocuzione, veniam rammemorando le prime impressioni che produsse negli spiriti pacati e riflessivi.

Dissero costoro, che l’allocuzione pontificia era tale atto, quale nè più nè meno al pontefice convenivasi.

Riporre esso con quell’atto le cose nello stato normale, rettificare le idee sconnesse ed esagerate, e ritemprarle coi principi razionali, che unicamente al sovrano ed al pontefice addicevansi. Solo si osservava da alcuni essere un atto forse un po’ tardivo, e simile in qualche modo a quel farmaco che, efficacissimo se adoperato a tempo di niuna efficacia riesce se amministrato quando il male ha messo troppo profonde radici.

Dissero pure che un atto di quella natura era quale lo avrebbero emesso Gregorio XVI o i suoi antecessori, poichè ivi si dichiarava apertissimamente essere stato un inganno il voler far credere che il papa quasi capitanasse l’italico movimento. Di cotal guisa venivasi con quell’atto a dichiarare una guerra aperta alla rivoluzione, ed a gittare un guanto di sfida ai suoi settatori.


  1. Vedi la Gazzetta di Roma del 29 aprile 1848. — Vedi il V vol. Documenti n. 75. — Vedi il I vol. Motu-propri, n. 43.