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coi deputati de’ governi limitrofi, ed eran sempre i portavoce fra il così detto popolo è l’autorità governativa; e i comitati per l’armamento adoperavansi a tutt’uomo per secondarlo e promoverlo alacremente. Così in luogo di un centro di comando, se ne avean parecchi ad un tempo.

Ed affinchè possiam ritrovarci in questo laberinto di avvenimenti, ed in tanta confusione di poteri, conviene che sopra tutto per ciò che riguarda la guerra, riappicchiamo il filo là dove lo troncammo, quando si disse che il general Durando aveva emesso il 5 aprile un ordine del giorno ed un altro il 10 stando ancora a Bologna. Ambidue questi atti facevan comprendere che voleva oltrepassare i confini, ma questi non erano oltrepassati ancora. Egli il 17 stava a Ferrara.

Intanto il 20 o il 21 di aprile si conobbe positivamente in Roma che il Durando aveva valicato i confini insieme colle truppe che eran sotto i suoi ordini. Ci narra il Montecchi segretario del general Ferrari, le particolarità di quella spedizione e riporta una lettera del Durando del 17 ove dice che l’indomani doveva mettersi in marcia.1

Sentirono allora i circoli, e chi dirigeva la rivoluzione in Roma, quanto irregolare fosse il procedere di chi era a capo delle pontificie milizie, e quanto falsa la posizione in cui andavansi a trovare. Il general Durando agiva, è vero, sotto gli ordini e giusta l’istruzioni di Carlo Alberto; ma i soldati del papa sarebbonsi trovati nelle terre lombarde senza che avesse preceduto se non una dichiarazione di guerra, un atto qualunque del pontefice che a ciò accennasse, affinchè almeno chiaro apparisse che quelle soldatesche, che portavano il suo nome e le insegne pontificie, erano riconosciute per regolari ed appartenenti al governo di cui indossavan le divise.

  1. Vedi Montecchi, Fatti e documenti riguardanti la divisione civica e i volontari mobilizzati sotto gli ordini del generale Ferrari, nel fascicolo XI dei Documenti della guerra santa d’Italia. Capolago, marzo 1850 vol. IV, pag. 53.