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Aggiungasi che la sfiducia e l’allarme non manifestaronsi soltanto a carico della banca romana, ma come quelle malattie epidemiche che invadono tutto il corpo sociale, rivelavansi in tutte le gradazioni di esso; cosicchè gli allarmati non restringevansi a far ressa alla banca romana, ma molti recavansi a richiedere la restituzione dei loro depositi alle banche private. Noi non racconteremo che sommariamente ciò che accadde e di cui abbiam le prove nei documenti allora divulgati. Descrivere le circostanze tutte di tanta trepidazione e degl’inconvenienti che produsse, ci menerebbe tropp’oltre. Consultiamo dunque le memorie stampate che ci son rimaste.

Nella Pallade del 10 marzo leggevasi il seguente articolo:

«Cittadini, qual mai versiera è questa che vi ha spaventato come fanciulli? È forse la repubblica francese una befana da metter paura ai bamboli? Sareste voi tutti come quel timido banchiere che udita la fuga di Guizot, chiuse le casse, e non si fece trovare in casa neppure dal papà dei banchieri, dal gran Rothschild? Non è ritornato l’ordine in Parigi e in Francia tutta non appena i turaccioli delle bottiglie di sciampagna ebbero rovesciato la vecchia pera? Quei gagliardi del governo provvisorio non hanno gridato a piena gola — rassicuratevi; i vostri depositi sono intatti? E in fatti, permanenti ancora i feriti nelle vie di Parigi, Rothschild manteneva i suoi impegni col governo, la cassa pubblica scontava molti milioni di biglietti, e le operazioni bancarie proseguirono nella loro floridezza. Se la Francia sconvolta da capo affondo nella sua forma governativa non ha sofferto alterazioni commerciali, qual motivo ragionevole può svegliare l’allarme nella nostra capitale, ove tutto prospera a dispetto d’aquile, di gufi, di iene e d’altre specie di animalacci?

» Perchè dunque assalire così d’improvviso ed a plutoni la povera banca romana da spolparla d’un tratto di tutto il numerario, intisichirla, e minacciarla d’asfissia?» L’articolo si chiudeva così: