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della rivoluzione di roma | 185 |
essere quella anarchia, confusione e manomessione di ordini. Propose quindi esso stesso di consultare la guardia nazionale. Nove battaglioni si pronunziarono per la determinazione del governo, e tre contro; ma le grida furibonde dei tre prevalsero alla volontà dei nove. Il direttore volò di nuovo al Consiglio; gli ammutinati però non attesero risoluzione veruna, e irruppero furibondi nella casa, e furon persino puntate le baionette alla gola del padre provinciale. Fu cercata la tabella dei nomi, e tutti i reverendi padri, vecchi, giovani, sani e malati, vennero riuniti nel salone del convento per riscontrarli co’ presenti. Durò tre ore questo costituto, che fu pei padri una vera agonia. Dire degl’insulti, e delle villanie pronunziate in quella occasione, ci rifugge l’animo, e rimandiamo i nostri lettori all’opuscolo sovraccennato.1
Risulta però dal ràcconto fatto dall’opuscolo stesso, che la guardia nazionale napolitana nella immensa sua maggiorità, era composta di persone educate, umane, e benevoli; e che, come da per tutto occorse, e anche in Roma, i pochi cattivi fecer disonore ai moltissimi buoni.
E se vi furon dei pessimi nella guardia nazionale napolitana erano di quelli, che come ausiliari, non avevano inscritti i loro nomi nei ruoli del corpo.2
La mattina del sabato 11 marzo finalmente i Gesuiti venner posti in chiaro sulle loro sorti. Fosser tutti, senza nulla aver con essi, esportati fuori del Regno, ed un piroscafo napolitano il dì vegnente, nelle ore pomeridiane, dovesse accoglierli per trasportarli.
Prima però di partire ricevettero la visita di uno dei ministri del governo, il quale (ed era il ministro dell’interno) pronunziò queste parole: