Pagina:Storia della rivoluzione di Roma (vol. II).djvu/189


della rivoluzione di roma 183

sgombrassero tutti e incontanente; in altro caso si verrebbe a scene luttuose

Si promise la partenza. Ma quando? Al più presto possibile. E pure i radicali svizzeri avevan concesso tre giorni. Convennesi per l’indomani alle dieci. Se ne informò il direttore di polizia il quale recossi da loro in quel giorno, e disse le seguenti parole:

«Venire dal Consiglio di stato, costituitosi in permanenza per l’affare dei Gesuiti. Significare il suo rammarico e quello del Consiglio stesso per la illegale, arbitraria e soverchiatrice maniera onde erano trattati: il governo non aver nulla, propriamente nulla contro di essi; anzi la città molto avere di che lodarsi dei loro servigi. Il governo non poterli in quella guisa disciogliere; e dove si venisse a questo punto, doversene avere intelligenza con Roma trattandosi di un corpo religioso. Ma che fare in momenti sì trepidi, in una società convulsa, dove il governo o non ha forza o non può farla valere? Essere suggerimento del Consiglio che si appartassero uscendo dal regno; ed aspetterebbesi miglior tempo a far valere le loro ragioni. Nel resto i Gesuiti esser padroni di loro e delle loro cose, andassero, restassero: lui non recare ordini, ma insinuazioni e consigli.»

Allora uno dei padri osservò: «quell’esilio a che eran condannati centotrentasei religiosi senza pur l’ombra non che di colpa, ma d’imputazione, essere cosa aliena da ogni umanità, da ogni giustizia — Se il voto di un branco di furiosi dee esser fatto pago, perchè dovrem fare più di quello che essi pretendono? Perchè dovrem noi attenere più di quello che per forza abbiam promesso? Si è promesso che domani alle dieci le nostre case sarebbero sgombre, e lo saranno; ma perchè il governo vorrà insinuarci ad uscire dalla patria? Perchè chi vuole non potrà rientrare in famiglia, e si dovrà dare lo spettacolo di giovanetti trilustri strappati dal fianco dei loro cari, e cacciati in bando rei