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lare, intimorì eccessivamente la compagnia di Gesù. Essa richiese tosto al governo un sostegno valido e pronto, e il governo ordinò immediatamente che la città venisse perlustrata da numerose pattuglie non solo di notte, ma ancora di pienissimo giorno. I padri, che in seguito a quella prima dimostrazione si tenevano ascosi, rassicurati in tal modo, ricominciarono a uscire a due, a quattro, a sei per volta; ed imbattendosi lungo la via in qualche soldato, lo carezzavano con dolci parole, e con affettuose strette di mano. Alla popolazione tutto ciò pareva insulto, e fin d’allora cominciò a smettere quell’atteggiamento di rassegnazione al quale era avvezza. Da quel momento i Gesuiti divennero per così dire il segno della universale esecrazione. Da per tutto uno sdegno profondo contro di essi, un dispetto che più non poteva soffocarsi. All’alba del giorno 14 le batterie della darsena salutarono con ventun colpi di cannone il più grande avvenimento politico italiano — la costituzione negli stati sardi. Al dopo pranzo formaronsi dei drappelli i quali sul far della notte giunti presso la chiesa di santa Teresa, appartenente e contigua ad un collegio di Gesuiti, parecchi del popolo presero a canticchiare uno strambotto composto da un pezzo contro i padri della compagnia; e la folla senza punto riflettere alle possibili conseguenze di quella inopportuna manifestazione, inco minciò a gridare di proposito: abbasso i cappelloni, fuori le spie. Il dado era tratto. La plebe cominciò a infellonire, alcune pietre furon lanciate contro le finestre del convento, e tosto la piazza fu ingombra da un popolo immenso.

L’indomani si riaprì la chiesa ed il popolo prese ciò per una sfida. La sera ricominciò il tumulto, e si tentò di dar fuoco al portone. All’alba del giorno seguente i Gesuiti continuarono a rintoccar le campane, e si fecer vedere nei confessionali. Nacque altro tumulto, la chiesa si vuotò, e i convittori furon tolti. Richiesto in seguito di ciò l’arcivescovo (così sempre il corrispondente