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della rivoluzione di roma | 123 |
Ciò per altro, lungi dal procurargli lode, gli venne dai progressisti apposto a colpa, si gridò al gesuita colonnello, e così il rispetto in disprezzo, e la sottomissione in disobbedienza convertironsi per parte dei suoi militi (o almeno dei più influenti e chiassosi fra i medesimi) che alle riprovevoli vociferazioni facevan eco.
Fu consigliato allora il Patrizi, a preservazione dell’ordine, ed a reintegrazione dell’infranta disciplina, di recarsi al caffè delle Belle Arti, ch’era il focolare di tutte le improntitudini, e colà far professione di fede politica, dichiarando i suoi sensi italiani, e procurando di astergersi dalla macchia di gesuitismo, che in allora disgradava quelle di ladro e di assassino. E il Patrizi cedendo al consiglio, si presentò di fatti al caffè, e fece quella professione di fede che si voleva.1
Questo atto di debolezza, che nel medio evo sarebbesi chiamato atto di ammenda onorevole, fu compiuto dal bersagliato marchese ond’essere, per così dire, ribenedetto. A tal frenesia trascinava la malvagità dei tempi, e l’alterazion delle idee!
Con tutto ciò pochi mesi dopo l’onorevole colonnello, specchio ed onore del romano patriziato, recossi coi propri figli nelle pianure di Lombardia per combattere contro gli Austriaci, che predicavansi nemici del papato e d’Italia, ponendosi a capo di un battaglione di volontari romani: ed in prova ulteriore del suo italiano patriottismo profuse oltre un dieci mila scudi a pro del suo battaglione; e non pertanto nel 1849 ebbe in benemerenza, come diremo meglio a suo luogo, la sua villa e palazzo annesso fuori la porta Pia devastati e distrutti. Con questo porse un esempio salutare ai contemporanei ed ai futuri di quanto poco valgano anche le azioni nobili e generose, quando gli uomini per le passioni politiche perdono il senno, ed il punto d’onore.