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del Santo Padre il giorno 16 per il concesso statuto. Esso diceva così:


«Beatissimo Padre,

» Se ciascun’ora del vostro immortale pontificato è segnata da molte beneficenze che da voi scaturiscono, e da mille benedizioni che dal nostro animo vi rispondono, il giorno decimoquinto di marzo ha compiuto un’era pe’vostri sudditi così fausta, e tanto gloriosa alla Sedia apostolica, che non so se altri prima di noi abbia sperato vederla. Ogni popolo aspira naturalmente ad alcuna parte di libertà; e noi, non immemori d’averla un tempo meritata e difesa, eravamo talora, non dico risoluti a volerla, sì almeno disposti di vagheggiarla. Sapevamo dall’altra parte la fede che ogni buon suddito, deve a principe, e noi specialmente ai pontefici, per averci non conquistati con armi, ma sottratti alla barbarie, aiutati dalla oppressione. Era in noi così forte 1a riverenza delle somme chiavi, e vivo il pensiero di tanti debiti, che ci venne sempre più dolce obbedire a voi ciecamente, che farci liberi senza vol. Ma quell’amore che può tutto, congiunse mirabilmente i vostri sagri diritti coi nostri desideri: ci fece spontaneamente del poter vostro partecipi: e quanto permetteva la dignità apostolica, ci donò una tal forma che i nostri posteri non saranno liberi men di noi. Di così nuovo, sublime, perenne benefizio non so se lingua che suoni in terra, sia tanto eloquente da ringraziarvi come si converrebbe. Voi solo siete degnissimo a farlo. Se i nostri cuori potessero tutti insieme esservi manifesti, vedreste di quanto vincono la parola, che non osando levarsi all’altezza dell’argomento, si limita a supplicarvi per tutti i Romani che a voi medesimo degne grazie rendiate; e che la vostra non mai vana preghiera salendo al trono dell’Altissimo, rappresenti a lui la tenera gratitudine del