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della rivoluzione di roma | 87 |
Era informato il pontefice che la rivoluzione, ammantatasi d’ipocrisia, mentre inneggiava a Pio IX, abborriva papa e papato. Voleva il pontefice qualche utile riforma, e qualche miglioramento, compatibile colla organizzazione del governo pontificio, il quale è, e dev’essere, essenzialmente ecclesiastico, e costituire un che sui generis, che chiameremo eccezionale.
Alla rivoluzione per altro poco ciò interessare. Volere essa ben altro dall’acclamato Pio IX, volerlo propugnatore e vindice della indipendenza italiana. Volerne fare un Alessandro III, o un Giulio II, per discacciare il tedesco dal suolo d’Italia. E la sua voce, e il suo braccio, se fosse possibile, volgere a quest’unico intendimento.
Dover esso spuntare i fulmini del Vaticano pei caldeggiatori di queste idee, ritemprarli e forbirli contro il tedesco. Porsi a capo infine della crociata contro il medesimo, costituendo così il Primato d’Italia. Questo voleva il partito in allora più forte perchè agir poteva a visiera alzata seguendo lo schema del famoso Gioberti. Questo partito è vero desiderava di lasciare il papa alla testa. Ma un papa a sua foggia, imbastardito se vuoi, secolarizzato, ammodernato’, e ritraente il mostruoso innesto condannato da Orazio nell’arte poetica.1
Ma l’altro partito, quello cioè degli Unitari repubblicani italiani più ardente ed eccessivo, voleva il papa momentaneamente, onde servirsi del suo appoggio, e della sua voce soltanto, per cacciare il barbaro dal suolo d’Italia. Scacciato poi, esautorare e sbandeggiare il papato, unico inciampo a suo parere alla unione d’Italia.
E così col volere chi una cosa, e chi l’altra, davanci ì riformatori italiani novella prova di quella disunione che è stata sempre il retaggio e la piaga insanabile d’Italia.
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Humano capiti cervicem pictor equinam
Jvngere si velit, et varias inducere plumas,
Undique collatis membris, ut turpiter atrum
Desinat in piscem mvlier formosa superne;
Spectatum admissi risum teneatis amici?