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78 | storia |
Questo dicevano molti uomini esperti nel maneggio degli affari, i quali, fatti cauti e diffidenti dalle ingratitudini, e dalle nequizie degli uomini, temevano, che aperte le dighe, non fosse più a contenersi il torrente, o per Io meno assai arduo e rischioso riuscir dovesse il poterlo padroneggiare. Questo, ripetiamo, era il linguaggio degli uomini più cauti e circospetti, e che in quel momento rapppresentavan la parte dei pessimisti.
Contrapporremo ora ciò che dicevan gli altri che appelleremo gli ottimisti, e che eran quegli spiriti lieti e tranquilli, che del bello, del buono e del magnanimo deliziavansi, e che incapaci di far male, e meno esperti forse delle malvagità umane, non avrebber creduto possibile che si rispondesse colla ingratitudine e col tradimento -a tanta magnanimità. Essi dicevano: sia pure che l’atto in discorso sovrabbondi forse in dolcezza, varrà esso a disarmare gli ostili sentimenti dei perdonati, e sbarbicare del tutto dagli animi loro perfino gli ultimi filamenti, ed i più esili germogli di quella mala pianta che impresero a coltivare, e che è nei voti del pontefice di distruggere radicalmente.
Intanto però il linguaggio soave dell’atto del perdono emanante dal novello pontefice attirò l’abominio e l’esecrazione sul governo di Gregorio XVI e de’ suoi fautori, e conciliò invece tutte le simpatie in favore di coloro che ne avevano esperimentato i rigori. E lo stato di abiezione e di avvilimento in cui caddero repentinamente ì devoti ed i beneficati dal cessato governo, segnò il primo stadio della incipiente rivoluzione.
Le parole sublimi dell’atto del perdono, da tutti e in Roma e nelle provincie lette, ripetute e festeggiate, furono scintilla elettrica, la quale produsse tale un incendio, che a frenarne l’impeto, ben altro vi voleva che poche stille di acqua, e tali sarebbero riuscite le circolari di segreteria di stato, se pure avesser potuto pubblicarsi. E in Bologna ove pubblicaronsi, vedemmo che produssero invece l’effetto