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della rivoluzione di roma | 77 |
altre di parte avversa, toccammo con mano ed ancora ne risentiamo le tristi conseguenze.
Questo si sappiamo e vedemmo, che ovunque gl’individui aderenti al passato governo, o per prudenza, o per timore si appiattarono nell’oscurità, e ben fecero, perchè lo spirito di vertigine che rapidamente invase le menti, non poteva consigliar loro di agire diversamente. Il contesto dell’atto era troppo sublime, e doveva per necessità riscaldare le menti, massime de’ giovani, e fare effondere in letizia tutti i cuori generosi. E chi in quel momento non lo avesse approvato in cuor suo, stato sarebbe un dissennato, palesandolo apertamente. Noi non sentivamo che grida di lode. Quei cui non garbeggiavano si tacevano, ma niuno sentivasi che parlasse in senso contrario.
Questo svolgimento insolito di affetti ci suggerisce le osservazioni seguenti, provocate dal ragionare che alcuni privatamente facevano in quei tempi.
Che per opinione di molti, ed anche di parecchi cardinali, T atto di amnistia fosse divenuto in quel momento, an atto di politica necessità, non potrebbe contrastarsi. Si voleva iniziare un’era di pace, ed esaltare il papato, col ritornare alla felicità domestica tante famiglie desolate. Il pensiero era umano, cattolico, ed eminentemente sublime; ma non tutti eran d’accordo sul modo di effettuarlo.
Quello scelto era bello e lodevole senza dubbio; ma peccò forse di troppa dolcezza, poichè nella tessitura dell’atto parve ad essi di riconoscere, meno un atto di perdono, che una reintegrazione, o riabilitazione di diritti, quasi che ingiustamente, o troppo rigorosamente fossero stati per lo innanzi trattati coloro, che a fluire del beneficio eran chiamati.
Rinvenivano inoltre nell’atto anzi detto una sublimità e delicatezza tale di modi, per esporre o lenire la natura del delitto, tale una soavità nei concetti e nelle espressioni, che avresti quasi detto, «essere reo chi perdonava, e il perdonato innocente.»