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Il procedere pertanto del cardinale legato di Bologna fu consentaneo alle istruzioni della corte di Roma non solo, ma ne ottenne l’approvazione da quello stesso segretario di stato, ch’era in allora in grazia dei progressisti. Pur non ostante, il pessimo effetto prodotto nell’animo dei Bolognesi, ed i clamori che suscitò, furon tali, ed intimorirono siffattamente tutti gli altri legati, delegati, o presidi delle provincie, o le magistrature comunali, o in fine le autorità locali, qualunque si fossero, che, tranne monsignore Orlandini, delegato dì Viterbo, che il 24 di luglio adempiè al dover suo pubblicando una circolare alle magistrature di quella delegazione, tutti gli altri impauriti dalle conseguenze e dalle minacele, se ne astennero. 1 E questi furono i primi frutti di quella libertà che pretendevasi di voler fondare.

Un tentativo male riuscito suole partorire disistima e discredito verso chi provocollo, coraggio e ardimento in quello, o quelli contro i quali era diretto. E difatti, da quel momento, non vi fu più confine veruno nè ai segni più rinvigoriti di esultanza per l’atto famoso del pontefice, nè alle manifestazioni di odio e disprezzo pel partito vilipeso e caduto in esecrazione. Quindi non più potere rimase alle autorità, le quali esterrefatte, da per tutto mollemente blandivano, e ovunque cedevano ai vincitori il mal contrastato terreno.

Tale fu lo stato di Roma e delle provincie in quei primi momenti, che, mentre assumeva apparenza e colore di festa e letizia generale, portava già in sè i germi distruggitori della nascente anarchia.

Lo storico Farini magnifica ed esagera con omiopatica dose di buona fede i tentativi e le mene della setta dei sanfedisti, «per avversare le opere clementi e civlli del nuovo governo, e vilipendere quel nome di Pio IX, che gli altri portavano alle stelle.» Che cosa facesse la setta così detta dei sanfedisti, noi vedemmo; ciò che fecer le

  1. Vedi vol. I, documenti, n. 20. B.