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cenno, che tanto i tripudi in genere, quanto il nome venerando di Pio IX, che si adottò per simbolo, miravano per iscopo finale alla indipendenza ed unità italiana.

E se il tripudio non era proporzionato al numero dei cittadini riabilitati dall’amnistia alla vita civile, tanto meno poi era proporzionato all’oggetto. Imperocchè, se pur si voglia ammettere che nella espansione di caritatevoli sentimenti avesser dovuto gioire i Romani per la promulgazione di un atto che restituir doveva tanti individui alla felicità delle loro famiglie, non era poi a farsene, logicamente parlando, un soggetto di esultazione sì smodata, e che quasi dava nel delirio, considerando alla fin fine che Roma, come sopra dicemmo, senza il papa è un nulla, che all’ombra del papato la più gran parte dei Romani vive e si alimenta, e che i festeggiati ne avevan voluto la distruzione nei tempi decorsi.

Che poi i rivoluzionari avessero un interesse sommo di far comparire Roma come iniziatrice del moto, e cod compromettere i Romani, imbarazzare il pontefice, rendere attonito il mondo, non vi vorrà un grande acume d’ingegno per comprenderlo; imperocchè ne sarebbe avvenuto per conseguente che i popoli italiani, e i francesi e gl’inglesi e i germani, tutti in somma, avrebber veduto che il movimento non era opera di teste sventate o di spiriti turbolenti, ma degli stessi Romani.

Le potenze estere avrebber creduto che i desideri di miglioramenti, riforme e discreta libertà non allignavano nelle provincie soltanto, ma venivan caldeggiati nella stessa capitale.

Le Provincie poi avrebbero avuto un appiglio per mantenere l’agitazione, simulando di far eco e di rispondere al movimento della capitale.

Quanto all’Austria poi, essa sì sarebbe trovata soprammodo imbarazzata, vedendo accendersi il fuoco non già nelle provincie, che varie volte eransi ribellate, ma nella stessa Roma, capo e centro dello stato pontificio, e sede