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cevasi, l’opinione pubblica era alterata, gli animi incerti, la tranquillità malferma.

E guai se questa opinione per artifici tenebrosi, o per altra qualunque causa venga corrotta e traviata, e non si pervenga a ricondurla nel suo compito naturale, imperocchè essa domina e signoreggia, e trascina talvolta anche i più renitenti. Ed appunto perchè questa opinione non mostravasi favorevole al cessato governo, il popolo romano avrebbe visto di mal occhio cadere la elezione del papa novello nella persona o del cardinale Lambruschini, o di quei che partecipavano alla sua politica.

Quale meraviglia pertanto se, divulgatosi l’annunzio nella sera del 16 giugno 1846 che il cardinale Gizzi fosse stato eletto papa, eccitasse colla velocità della scintilla elettrica una specie di tripudio in Roma? Gli agitatori ne accolsero con festa l’annunzio, perchè essendo in fama, per gli elogî del d’Azeglio, di essere uomo saggiamente liberale, ne presagivano bene per le loro vedute, mentre gli onesti e tranquilli credettero ravvisarvi il conciliatore fra il vecchio sistema e le idee moderne, e quindi essere mandato dalla Provvidenza per salvare dall’imminente procella la navicella di san Pietro.

Alla gioia e al tripudio però sottentrò un visibile raffreddamento negli animi allorquando si seppe nella sera stessa da certuni non essere il Gizzi eletto; fra questi pochi fummo noi, e ne demmo l’annunzio in una casa molto distinta, e per sociali rapporti ragguardevole; ma non fummo creduti. Tanta era in tutti la persuasione che il Gizzi fosse stato veramente l’eletto.

Ciò spiega quella piuttosto tiepida accoglienza che fecesi nella mattina seguente all’annunzio del nuovo papa, in persona del cardinale Mastai, dato dalla loggia del Quirinale. Ma di ciò meglio terremo discorso nel capitolo seguente.

Intanto reputiamo pregio dell’opera il narrare come si regolasse negli stati pontifici quel partito che intendeva di migliorarne le sorti coll’introdurvi alcune riforme.